Un solo pensiero attraversa la sala gremita della chiesa di San Marco, passando per i volti sconvolti e increduli degli amici per arrivare a quelli dei genitori di Matteo, della sorella Giorgia e del fratello Alberto.
Che questa morte tanto ingiusta non diventi inutile, che sia anzi lo stimolo di una reazione, della città, dei giovani, delle famiglie, delle istituzioni. Nel giorno dell’ultimo addio a Matteo Vaccaro, ucciso a 29 anni con un colpo di pistola che gli ha attraversato il cuore, oltre mille persone affollano la chiesa. Sfilano, stretti in un dolore composto e silenzioso, i parenti, centinaia di amici, conoscenti, gestori dei locali vicini al ristorante della famiglia Vaccaro. I fratelli sistemano all’ingresso una grande foto di Matteo, sguardo profondo e un sorriso accennato, accanto ai suoi due cani. E mentre il parroco accompagna la famiglia, la bara, portata in spalla da Alberto e dagli amici, viene accolta in chiesa da un lungo applauso e allo stesso modo verrà salutata al termine della funzione religiosa. «Meglio il silenzio di qualsiasi parola – esordisce il parroco nell’omelia – Quali parole potrebbero colmare il vuoto di questa perdita? Io non sono in veste di giornalista, non sono in veste di giudice, sono solo un ministro di Dio e cerco una ragione e una speranza. Quando ho sentito la notizia la prima immagine che ho visto è stata quella di Alberto abbracciato al fratello mentre lo porta in ospedale, poi quella di una madre che arriva in ospedale abbracciata al figlio». La parabola scelta è quella del chicco di grano: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto». Così, la morte di Matteo lascerà il suo segno e produrrà i suoi frutti. «è passato di moda parlare di religione, di amore – continua il parroco – Questo mondo si riduce tutto alla violenza e alla morte. Siamo contenti di questo tipo di mondo che stiamo dando ai nostri figli? Siamo contenti di ciò che stiamo vivendo? Troppe cose devono cambiare. Ogni decisione può essere fatale. Ma un seme caduto oggi a terra lascia il segno. E questa morte deve essere un segno per tutti noi». Poi un monito rivolto a tutti: «Bisogna vivere meglio, bisogna aprire gli occhi». Ed è proprio questo il senso delle parole, decise e forti, che il papà di Matteo, Valentino Vaccaro, coraggiosamente decide di lasciare a quanti hanno voluto salutare il figlio per l’ultima volta. «Questa morte – dice – deve avere un significato ». Per tutti, per la città intera. La funzione si chiude con le parole della sorella Giorgia, stretta ad Alberto, che rivolge alla folla l’appello a non dimenticare. Poi, la bara di Matteo lascia la chiesa, di nuovo fra l’applauso e le lacrime delle oltre mille persone raccolte nel piazzale.
Laura Pesino dal Corriere Pontino del 6 febbraio 2011
Il padre: «Tutto questo deve riuscire a scuotere le nostre coscienze»
«Una morte assurda ». Sono queste le prime parole, durissime, coraggiose, che Valentino Vaccaro, il padre di Matteo, pronuncia dall’altare verso alla sala gremita. C’è la rabbia, ma c’è anche una speranza e un monito per il futuro. «Questa morte però non deve essere inutile. Deve avere un significato. Deve riuscire a scuotere le coscienze di tutti, dei genitori, delle istituzioni. Dobbiamo iniziare a combattere affinché quello che è successo non accada più ai nostri figli e ai nostri nipoti». Lacrime, applausi e dolore. Tanto. Racchiuso anche nelle ultime parole pronunciate da Giorgia: «Matteo, chi lo conosceva lo sa, era una persona schiva, riservata. A volte era anche duro, molto duro. Ma aveva un cuore grandissimo. Non dimenticatelo».