Il cielo sopra Cisterna di Latina è plumbeo, rispecchia l’umore della gente che si è radunata davanti la casa della famiglia Ramadù. Tra cronisti e semplici cittadini sono in molti ad attendere che qualcuno scenda per pronunciare qualche parola. In via San Rocco, a poche decine di metri dal capannello di convenuti c’è un bar. Si chiama “Bar Cimmino”, è gestito da Massimo Cimmino amico d’infanzia dell’alpino morto in Afghanistan.
Cisterna di Latina si è svegliata male questa mattina. Alle 6.45, ora italiana, la marcia di un convoglio della Nato-Isaf, composto da decine di automezzi con bandiere italiana, spagnola e statunitense, è stata interrotta da una bomba “IED” (Improvised Explosive Device), comandata a distanza dai talebani. La bomba è stata fatta esplodere proprio mentre il blindato Lince, con a bordo 4 italiani, attraversava quel tratto di strada. Era il quarto in ordine di fila. Le prime agenzie associano il nome del sergente Massimiliano Ramadù alla città di Velletri (Rm), ma in quella città è solo nato “casualmente” come dice l’addetto dell’anagrafe del comune velletrano. La sua infanzia l’ha passata a Cisterna di Latina, anche con Massimo “Siamo cresciuti insieme – dice il barista – Da piccoli, oltre ad interi pomeriggi a giocare per la strada, abbiamo condiviso 5 anni di karate. Forse gli anni erano sei, è passato molto tempo, non ricordo più tanto bene.”
Primo di quattro fratelli, Massimiliano era alla sua seconda missione in Afghanistan, aveva prestato servizio anche a Nassiriya in Iraq. “Era affascinato dalla divisa – racconta Cimmino – appena ha potuto è partito. Forse non aveva ancora compiuto i 18 anni, tanta era la voglia di arruolarsi. Era l’orgoglio della sua famiglia, un ragazzo che era riuscito a fare quello che sognava.”
Ramadù era di stanza nella caserma del 32/o Reggimento Genio di Corso Brunelleschi a Torino. Oggi il piazzale d’ingresso ha la bandiera listata a lutto e issata a mezz’asta. “Mi hanno strappato due figli”, commenta il generale Francesco Paolo Figliuolo, attualmente al comando della Caserma Monte Grappa dove ha sede la brigata Taurinense, cui appartenevano tutti e quattro i militari italiani coinvolti. Il compito di Massimiliano e dei suoi commilitoni era quello di controllare e bonificare, dalle bombe e dalle mine, gli itinerari percorsi dalle pattuglie e dai convogli militari. Questa, probabilmente, sarebbe stata la sua ultima missione . Si era sposato qualche mese fa e stava aspettando l’estate per tornare a casa dalla moglie Anna Maria e metter su famiglia. Lo zio racconta che Massimiliano non era contento di partire “si era sposato da poco – racconta – e non voleva allontanarsi da Anna Maria. Ricordo che mi ha detto “Devo partire per forza, non ci sono altri sminatori disponibili”. La moglie è disperata. Si è chiusa in casa distrutta dal dolore. Aveva sentito ieri sera il marito su Skype, racconta la zia di Massimiliano, lui le aveva detto ‘Sto bene, tutto a posto, ci sentiamo’. Lei adesso non vuole credere che suo marito sia stato ucciso.
“Non riesco a trovare le parole” mi dice Cimmino. “Quando Massimiliano era a Cisterna veniva spesso a fare colazione al mio bar. Anche se non ci vedevamo spesso lo consideravo un mio amico. Qui a Cisterna sono tutti tristi – continua Cimino – è come se a tutti fosse morto un figlio”.