Ci sono sostanzialmente due strade – la storia economica di questi ultimi anni ce l’ha dimostrato ampiamente – per affrontare il problema della stagnazione in un paese. La prima, praticata in questi anni, consiste nel tagliare il più possibile la spesa, soffocando la domanda interna, nell’attesa che il periodo di sacrifici produca come effetto quel risanamento dei conti necessario per una ripartenza. I risultati fallimentari di questa opzione sono sotto gli occhi di tutti.
La seconda, invece, si traduce in un tentativo di stimolare l’economia reale, dando impulso ai settori più avanzati, affinché fungano da traino, con il sostegno dello Stato, per tutto il paese. Sarebbe pertanto auspicabile che, dati alla mano, il governo italiano guardi con attenzione a quel pezzo di economia che così tanto ha contribuito ad ingrassare il bilancio statale. Stiamo parlando del gioco d’azzardo, croce e delizia tutta italiana, alle prese ormai da tempo con un corpo a corpo con il legislatore che non accenna a conoscere una tregua.
L’esecutivo Gialloverde pare aver preso seriamente a cuore la sua crociata nei confronti del settore del gioco d’azzardo, trasformato di colpo in uno dei principali bersagli da abbattere sul cammino verso una gloria solo vagheggiata. L’intento è nobile, ma gli strumenti adottati non appaiono minimamente all’altezza. Se sul contrasto alla ludopatia, una piaga che ha assunto oggigiorno dimensioni assai preoccupanti, specie tenendo conto del suo allargamento alla fetta della popolazione under 18, non ci possono essere timori reverenziali di sorta, non convince l’approccio proibizionista con il quale si pensa di poter risolvere, con un colpo di spugna, un fenomeno articolato e complesso.
Tanto più che, ancora una volta dati alla mano, se c’è qualcuno che in questi anni ha lavorato molto in direzione di una maggiore tutela dei consumatori, minori in primis, sono stati proprio gli operatori del gioco (online in prima fila), che hanno fissato tutta una serie di paletti, dall’obbligo del documento al momento dell’apertura dell’account, all’autoesclusione, fino ai limiti sul versamento. Il governo, più che mettere i bastoni fra le ruote, farebbe bene a prendere esempio, e a ragionare, perché no, attorno ad un tavolo, sulle misure più efficaci per proseguire su una linea che, da retta, rischia di diventare più contorta che altro.
Il discorso si amplia se prendiamo in considerazione la fortissima incidenza che il gioco d’azzardo ha assunto ormai nell’economia del paese. Le cifre versate nelle casse dello Stato, sotto forma di tassazione, fanno registrare i nove zeri. Inoltre, attorno all’industria del gioco, ruotano migliaia di posti di lavoro, che in un periodo di disoccupazione accentuata sarebbe buona norma tutelare, al di là di tutto. Anziché incentivare questo forte volano, che porta con sé investimenti esteri tutt’altro che irrilevanti, il Governo ha pensato bene di servirsene come gallina dalle uova d’oro, imponendo ulteriori imposte per finanziare le proprie promesse; promesse che, questa volta teoria economica alla mano, hanno un impatto sull’economia inferiore rispetto all’investimento.
Il vero peccato, comunque, sta nella totale cecità rispetto all’attenzione che il mondo, non si esagera utilizzando questa espressione, sta rivolgendo verso il nostro Paese. Si organizzano ovunque cicli di conferenze e dibattiti sul caso italiano, gli investitori internazionali si interrogano sulle mosse da fare per non farsi trovare impreparati nel caso in cui, malauguratamente, il Governo decidesse di suicidarsi, per altro felicemente.
Che fare, dunque, ponendosi dal punto di vista degli operatori? Gli appelli a sedersi attorno ad un tavolo si sono ripetuti, tutti caduti nel vuoto. La mobilitazione dei sindacati, in questo schierati al fianco di Sistema Gioco Italia (l’associazione di categoria), rappresenta un’ipotesi fin qui scartata, ma chissà per quanto ancora. D’altronde, come sottolineato, in ballo ci sono parecchi posti di lavoro. Si auspica che il Governo comprenda la responsabilità che si sta assumendo, e agisca in maniera saggia. Il Cambiamento, in caso contrario, non sarebbe di quelli da sventolare su un balcone.