Da sessant’anni, al civico 7 di via Fratelli Bandiera, c’è un piccolo alimentari dove il tempo sembra essersi fermato. Dietro il bancone, tra scaffali ordinati, profumo di salumi e pane fresco, c’è Nilde: 85 anni, uno sguardo dolce e dai modi gentili. Un tempo, tutto intorno era un brulicare di botteghe e volti amici. Poi negli anni Settanta e Ottanta la trasformazione della città. Anche l’arrivo di un supermercato, proprio accanto alla sua bottega. Ma lei è rimasta lì, determinata… Apre ogni mattina con la stessa cura di sempre, accoglie con il sorriso chi entra e dice che andrà avanti finché ce la farà. E chi la conosce, lo sa: lo farà davvero. Vi racconto la sua storia.
Trovare un piccolo alimentari a Latina è ormai un’impresa. Uno degli ultimi l’ho raccontato qualche mese fa, quello dei fratelli Rocco, vicino allo stadio. Il giorno della chiusura definitiva, gli ultrà del Latina hanno organizzato, davanti il loro negozio, una bellissima festa, con fumogeni e cori da curva. Un momento toccante, tra le lacrime degli affezionati clienti e quelle dei due fratelli Carlo ed Ettore. Dopo sessantacinque anni dietro al bancone, è dura lasciare…

Circa un anno fa, mi trovavo a passare in via Fratelli Bandiera, all’altezza del Conad City. Avevo un certo languorino, ma l’idea di fare la fila al supermercato proprio non mi andava. È stato allora che ho notato, lì accanto, un piccolo alimentari nascosto, senza insegna; un angolo del passato della nostra città. Chissà perché non avevo mai notato quel piccolo alimentari?! Mi sono sentito quasi in colpa. Entrarci è stato più forte di me…
Appena varcata la soglia, gli odori mi hanno riportato indietro di sessant’anni. A quando mia madre mi teneva per mano nell’alimentari dei fratelli Lemma, in via Emanuele Filiberto. La signora, dietro il bancone con il suo grembiule, mi guardava incuriosita, mentre io ero ancora immerso nei miei ricordi. Poi le ho sorriso e chiesto un panino con la mortadella. Mentre addentavo il mio spuntino e sorseggiavo una birretta fresca, ho fatto due chiacchiere con lei.

Prima di andare via, le ho promesso che sarei tornato ad ascoltare la sua storia. Lei mi ha sorriso e, con umiltà, ha detto: “Ma che te devo racconta’?!” Poi la promessa mi è scivolata dalla mente. Finché l’altro giorno, sul gruppo Facebook: “SEI DI LATINA SE…”, mi sono imbattuto in un bellissimo post pubblicato da Marina Macone, proprio sulla signora Nilde e il suo alimentari. Tra i commenti, quello di Gianluca Miozzi: “Emilio, c’è lavoro per te!”. Ed eccomi qua a raccontare la storia di Nilde Ricci.
Nilde Ricci e Angelo Porcari: storia d’amore e di commercio
Nilde Ricci nasce il 10 dicembre 1940 a Rocca Massima, in provincia di Littoria (oggi Latina). È la seconda di quattro figli. Il padre, Secondo, e la madre, Rita Pasqualini, sono contadini: lavorano la terra con dedizione, coltivando soprattutto vigneti e uliveti. Una famiglia benestante, ma abituata alla fatica. Dopo la quinta elementare, Nilde lascia la scuola per iniziare a lavorare nei campi e occuparsi delle faccende domestiche. Non certo una vita leggera.

Ha ventiquattro anni quando conosce Angelo Porcari a Boschetto, una contrada di Rocca Massima dove la domenica si va a passeggiare. Lui è di Cori, figlio di Francesco e Geltrude, contadini anche loro, in più sono allevatori di bestiame. È un uomo serio e grande lavoratore, e a Cori gestisce una macelleria tutta sua. Tra i due scocca subito la scintilla. Ma quando Nilde lo presenta a casa, i genitori storcono un po’ il naso.

L’apertura dell’alimentari e il trasferimento a Latina
Angelo ha dodici anni più di lei, e questo basta a preoccupare i suoi genitori. Cercano di dissuaderla, ma lei è una ragazza determinata, e il suo cuore ha già deciso. Dopo qualche mese si sposano. Dalla loro unione nasceranno Patrizia e Francesco. Sono appena sposati quando Angelo comincia a guardare con interesse Latina. La città cresce, offre possibilità, e lui ha voglia di costruire qualcosa. Nel 1965, a un anno dal matrimonio, decide di rilevare un piccolo alimentari in via Fratelli Bandiera.

A occuparsene è Nilde, che ogni giorno scende dal paese per aprire il negozio, mentre Angelo continua a gestire la macelleria a Cori. Sono anni d’oro per Latina: il centro è pieno di vita, e accanto alla loro attività c’è un ingrosso di frutta e verdura. Intorno, sorgono grandi palazzi, perfino un grattacielo. Il lavoro non manca: c’è spazio per tutti e la clientela cresce. Così, l’anno successivo, Angelo decide di chiudere la macelleria di Cori per affiancare la moglie nell’attività. Insieme, scelgono anche di trasferirsi a Latina per evitare di fare i pendolari.

Gli anni migliori e la fine di un’epoca
Ma ad Angelo il lavoro nell’alimentari proprio non piace, così si mette alla ricerca di un nuovo spazio per aprire una macelleria. Lo trova dietro le carceri, in via Quarto. Non è il centro, è in mezzo alla campagna, ma quel posto gli piace. E poi, la fortuna aiuta gli audaci: proprio lì, accanto al suo negozio, sorgerà il quartiere popolare delle Gescal. Per Nilde e Angelo saranno anni di grandi sacrifici, ma anche di molte soddisfazioni.
Con la fine degli anni Ottanta e l’arrivo dei primi supermercati, la città comincia a cambiare. Anche il modo di fare la spesa si trasforma, segnando l’inizio di una nuova epoca. L’ingrosso di frutta e verdura accanto al negozio di Nilde si trasferisce al Mercato Ortofrutticolo di Latina, in via dei Monti Lepini. Qualche anno dopo, al suo posto, aprirà un supermercato. Per Nilde potrebbe essere la fine del suo amato alimentari. Ma lei non si arrende: è una donna tenace, una guerriera che ha fatto della gentilezza la sua arma più potente.

Alla fine degli anni Novanta, Angelo decide che è arrivato il momento di fermarsi. Va in pensione, cede la macelleria e torna quasi ogni giorno nel suo paese, a Cori, dove si dedica con passione ai terreni di famiglia. Non riesce a stare fermo: la terra e il silenzio dei campi sono il suo rifugio. Ma nell’agosto del 2004 arriva la notizia che nessuno vorrebbe mai ricevere: ad Angelo viene diagnosticato un male incurabile. In appena due mesi, il 19 ottobre, se ne va.

Per Nilde è uno strappo profondo, un dolore che non si colma. Ma non si lascia travolgere. Il lavoro, quel suo piccolo grande mondo dietro al bancone, torna a darle un senso, una quotidianità che consola. Oggi Nilde ha ottantacinque anni, e guai a parlarle di pensione: il negozio è la sua casa, la sua forza, il suo posto nel mondo. E finché avrà fiato, è lì che vorrà restare.

L’incontro con la signora Nilde
Appena entro nell’alimentari della signora Nilde e le dico che vorrei scrivere di lei, ci pensa un attimo e poi sorride: “Sì, mi ricordo di lei, è venuto un po’ di tempo fa”. È passato più di un anno, eppure Nilde, che mi ha visto solo una volta, si ricorda perfettamente. Colpisce, la sua memoria. Iniziamo a chiacchierare, anche se lei, con la solita umiltà, si schermisce: “Ma che te devo racconta’? La mia vita l’ho passata tutta qua dentro”.
Nilde, come è cambiata la città?
“Sicuramente prima era più civile, più tranquilla. Ci conoscevamo un po’ tutti”
Ho visto che non ha più l’insegna, come mai?
“Perché si era scolorita e quando per rimontarla mi hanno chiesto il progetto e un sacco di cose burocratiche ho deciso di non metterla più”
Con suo marito che lavorava in macelleria, come ha fatto con due bambini, la casa e lavorare in negozio?
“Ho fatto tanti sacrifici: portavo i bambini a scuola e poi venivo ad aprire. Quando chiudevo li andavo a riprendere. La sera mi occupavo della casa, ma soprattutto la domenica. Non uscivo mai. Si può dire che Latina manco la conosco”
Come ha fatto a difendersi dai supermercati?
“Ho continuato a lavorare tranquilla, senza guardarmi attorno. Certo, con il tempo tutte le clienti anziane le ho perse e il lavoro è diminuito, ma mi sono accontentata. Questo è tutto il mio mondo e a me sta bene così. Resta la soddisfazione di aver servito intere generazioni”
Cosa le manca di più?
“Mi manca la socializzazione… Prima era tutto un via vai, chiacchiere, risate, confidenze. C’era un senso di comunità che oggi si è perso. Adesso molti entrano, comprano in fretta e vanno via. Non è più come una volta”

Nilde non vende solo formaggi o pane fresco: tiene in piedi un pezzo di memoria, un modo di stare al mondo che oggi sembra quasi sparito. E finché ci sarà anche solo una Nilde dietro un bancone, con la sua gentilezza disarmante, Latina avrà ancora un cuore che batte. E se passate da quelle parti e la andate a trovare, ve ne accorgerete.
Mentre parliamo, nel frattempo, entrano un po’ di persone a fare la spesa. Alla fine Nilde insiste per offrirmi qualcosa. Le dico che tornerò dopo la pubblicazione dell’articolo, e allora accetterò volentieri un panino con la mortadella e una birretta fresca. In fondo, è tutto nato da lì.
P.s. Ma farla Cavaliera del Lavoro non sarebbe un meritato riconoscimento?