Una diagnosi sbagliata di SLA ha distrutto la vita di un operaio di Cisterna di Latina, spingendolo al suicidio nel 2018. L’uomo, 59 anni, era convinto di avere una malattia incurabile, quando in realtà soffriva di una ben più comune e curabile artrosi cervicale.
Nel 2000, l’uomo iniziò ad avere vertigini e difficoltà a camminare. Una clinica dell’ASL gli diagnosticò la SLA, condannandolo a sei anni di cure inutili e al terrore di una fine imminente.
Solo dopo essersi rivolto al Policlinico Gemelli di Roma, si scoprì la verità : non era SLA, ma mielopatia spondilogenetica, una forma di artrosi curabile. La rivelazione, seppur liberatoria dal punto di vista medico, non riuscì a cancellare il profondo trauma psicologico. Anni di sofferenza e la convinzione di essere malato terminale lo avevano gettato in una grave depressione, che lo portò a togliersi la vita.
Il Tribunale di Latina ha condannato l’ASL e il medico a risarcire gli eredi con 148 mila euro per danno morale. La Corte d’Appello ha poi confermato la responsabilità , riducendo la cifra a 120 mila euro. Un risarcimento che, pur riconoscendo l’errore, non potrà mai restituire la vita a un uomo distrutto da una diagnosi sbagliata.