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Home Latina

Agguato a Zof, nelle intercettazioni le minacce del clan ai testimoni

Redazione by Redazione
25 Maggio 2011
in Latina
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ciarellidisilvioclan
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Dopo l’arresto la famiglia si prodiga per far ritrattare chi aveva riconosciuto Pupetto. 

«Sono andata a parlare con un altro ragazzo, quello che sta vicino a noi. Tu hai un figlio, gli ho detto, vedi il dolore che sto passando io per questo figlio. L’ho minacciato. Ci sono andata a parlare, sta tutto a posto». La mamma di Ferdinando Di Silvio, detto Pupetto, durante uno dei colloqui nel carcere di Velletri, rassicura il figlio che la famiglia si è già attivata per garantire un sistema di protezione, intimando ai testimoni di non parlare. Ma proprio quelle testimonianze rese agli investigatori dalle persone che si trovavano in via Galvaligi quel pomeriggio del 7 aprile del 2010 sono risultate preziose per dare un preciso indirizzo alle indagini dopo il ferimento di Alessandro Zof, portando a chiudere il cerchio e ad arrestare lunedì scorso sette esponenti dei due clan nomadi del capoluogo. Si parla chiaramente di due ragazzi in sella a un motorino, di tre spari in sequenza davanti a una palazzina di via Galvaligi, di uno scooter Scarabeo 250 di colore grigio senza mascherina anteriore, e di un ragazzo che subito dopo i colpi mette in moto e urla all’amico di muoversi in fretta e scappare subito. Le descrizioni sono precise e dettagliate e consentono subito di stringere il campo intorno alla famiglia rom. Ventiquattr’ore dopo l’agguato infatti la Squadra mobile arresta Ferdinando Di Silvio. Il clan però, nei giorni successivi, si prodiga subito per intimidire i testimoni costringendoli a ritrattare. Agiscono il padre Armando, la madre e il fratello dell’arrestato. Conoscono nomi e indirizzi e li raggiungono in casa. Le conversazioni della famiglia, intercettate nella sala colloqui del carcere di Latina e di quello di Velletri, lasciano poco spazio ai dubbi. «è lui che mi incastra, sicuro al cento per cento», dice Pupetto. E il nipote replica: «Ma ti potevi coprire il viso». Intanto, sul letto di ospedale, ferito ad entrambe le gambe, Alessandro Zof urla che qualcuno lo ha venduto tendendogli una trappola, ma non fa mai esplicito riferimento ai suoi attentatori e rifiuta di fare denuncia. Parla invece in modo vago di adissidi nati in carcere con “certa gente”. E chiama chiaramente in causa la sua amica, F.D.S., 22enne incensurata, anche lei finita agli arresti domiciliari per il reato di favoreggiamento. «Mi ha chiamato quella…! E poverella quanto si preoccupava di farmi venire da solo… E io mi sono anche preoccupato per lei, ho detto mo gli sparano anche lei, rimbalza un proiettile, e mi ci sono messo davanti, pensa un po’». è l’amica infatti a tendergli la trappola, a chiamarlo ripetutamente su tutte le utenze telefoniche dei suoi familiari perché quel giorno si recasse a casa della famiglia di Lello Gallo, per parlare con lui, detenuto a Rebibbia, al telefono. Ma appena sceso Zof è stato avvicinato e colpito alle gambe da tre colpi esplosi da una calibro 7,65. Pupetto, come accertato dagli investigatori, guidava il motorino. La mano armata era invece quella di Chrstian Liuzzi.

 

dal Corriere Pontino del 25 maggio 2011

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